DESTINAZIONE O DENOMINAZIONE? QUESTO È IL PROBLEMA
Destinazione o denominazione? Questo è il problema. Hanno entrambe una mappa a cui fare riferimento. Spesso le due mappe coincidono oppure si scostano di poco, eppure comunicano solo al loro pubblico di riferimento: una per il turisti, l’altra per gli addetti ai lavori.
Denominazioni di origine e destinazioni: così vicine, così lontane
Dalla primavera 2020 ogni discorso di enoturismo ha puntato la propria attenzione sul visitatore di prossimità, allargando il campo di azione dalla visita in cantina al vigneto. È rimasto in secondo piano, il viaggiatore dal resto del mondo che continua ad essere estremamente curioso nei confronti dell’Italia e delle opportunità offerte da nostro paese.
Le destinazioni in etichetta
I vini doc italiani distribuiti nel mondo sono straordinari ambasciatori dei loro luoghi di origine, a partire dalle loro etichette che sempre indicano un luogo preciso, che nella maggior parte dei casi viene bellamente ignorato, dando giustamente priorità al contenuto della bottiglia e delle sue caratteristiche tecniche.
Questi luoghi dichiarati in etichetta corrispondono automaticamente a destinazioni turistiche? Purtroppo, no. Solo in minima parte la notorietà di un vino è direttamente connessa e associata ad un luogo preciso nella mentalità del consumatore finale e molto spesso anche del distributore. Per questo aspetto è doveroso ringraziare venditori e ambassadors di vino italiano nel mondo che quotidianamente comunicano le peculiarità dei vini italiani in relazione all’origine e ai luoghi di produzione.
Destinazioni doc da degustare
È vero però che molte località hanno una identità turistica notevole, spesso anche largamente riconosciuta, mentre i loro vini sono ancora poco noti e il racconto delle peculiarità del luogo di produzione ancora difficile da trasferire. Facciamo un esempio? Credo che tutto il mondo occidentale conosca dov’è il vulcano Etna e qual è la sua peculiarità. Bene, quante persone che amano e consumano vino in Italia e nel mondo conoscono i vini Etna doc? Non mi chiedo quanti possono averli assaggiati, visto che la produzione è tuttora limitata, mi riferisco esclusivamente alla notorietà.
Mi è successo di parlare con italiani che amano il vino e amano viaggiare in Italia per conoscere vini, luoghi e persone esterrefatti e sorpresi difronte al mio suggerimento di visitare la Sicilia orientale e la zona dell’Etna per degustare i vini locali.
Nord e sud: nessuna differenza
Sia chiaro che quando si parla di vino i pregiudizi sud/nord non sono validi: possiamo fare un esempio analogo nell’estremo nord e nella super efficiente Lombardia per ricordare quanto è nota la Valtellina in ambito turistico, grazie anche ai campionati di sci. Ebbene, quanti wine-lovers conoscono gli straordinari vini che si producono in Valtellina? Certo, lo chiamiamo il Nebbiolo delle Alpi e questo indubbiamente riconosce al vino un certo valore, ma nella quotidianità quanto sono presenti questi vini straordinari nelle motivazioni dei tour operator e nelle loro proposte?
Valtellina Superiore doc è la traduzione enologica di un luogo talmente particolare da essere definitivo ‘viticoltura eroica’. Una valle orizzontale dove il versante rivolto a sud è stato conquistato nei secoli da viticoltori determinati, in italiano diciamo “testardi”, ad ottenere dalla montagna, vere e proprie meraviglie enologiche. Lo Sforzato di Valtellina docg è di certo uno straordinario ambasciatore della propria origine, ma non sembra affatto essere nelle priorità dei tour enogastronomici italiani.
Chi è il re?
È innegabile che la Valtellina e le sue cantine hanno acquisito maggiore notorietà grazie all’attrattività turistica del Lago di Como. Ma per noi “local wine guides” è molto faticoso dover ammettere che l’attrattore numero uno della zona è la casa di George Clooney e non lo Sforzato di Valtellina docg.
Succede anche il contrario
Ho citato luoghi, i cui vini risultano non pervenuti come Denominazioni di Origine, ovvero pur essendo presenti negli assortimenti degli importatori nel mondo, non sono percepiti come parte rilevante di una destinazione turistica.
All’opposto di questa realtà esistono “denominazioni” la cui notorietà travalica abbondantemente l’idea di qualità e originalità. Durante un evento B2B alla scoperta di operatori italiani, un tour operator americano dichiara: “Dovrò prendere in considerazione l’idea di fare un viaggio esplorativo nel nord Italia. Quando si parla di vino i miei clienti sono convinti che in Italia esista solo la Toscana”. Sia chiaro che i produttori toscani sono i migliori comunicatori da cui tutti dobbiamo imparare; tuttavia, è certo che di fianco a indubbie eccellenze, “non si può fare di tutta un’erba un fascio”.
Comunicare una doc
Le denominazioni di origine sono un tema ostico da comunicare. Sfuggono alla loro funzione di collegamento tra il vino e il territorio “all’origine” quando si parla ai non addetti ai lavori. Il consumatore associa la denominazione ad una vaga idea di qualità, non propriamente certificata.
Le denominazioni non nascono per accogliere le persone, bensì per dare un’identità ai vini. Dopo secoli e secoli di consumo locale, i vini devono farsi spazio nella carta dei vini del ristorante. Succede poco più di cinquant’anni fa. Da allora tutti i produttori europei si allineano al sistema per riconoscere alle diverse varietà dell’uva e ai luoghi di produzione precise specificità territoriali. L’Unione Europea accoglie il sistema nel proprio ordinamento, lo recepisce e lo tutela verso il resto del mondo.
Quando questa spiegazione viene compresa dal wine-lovers scatta una vera e propria Epifania. Un giovane enoturista durante un evento in cui raccontavo i vini del territorio dove vivo mi dice al momento di congedarsi: “Grazie. Lei oggi mi ha aperto un mondo!”
Non esiste gratificazione maggiore per chi il vino lo racconta e vorrebbe trasferire al proprio pubblico il proprio entusiasmo e la propria curiosità.
E la prossima metà cosa sara? Una destinazione o una denominazione?
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